Partendo dal presupposto che, alla fine dell’emergenza, il mondo non sarà più come prima, quella che stiamo vivendo in questi giorni è indubbiamente una grande prova.
La sfida del momento non tocca soltanto il nostro sistema immunitario, tema che abbiamo già esplorato dal punto di vista biologico/energetico, ma coinvolge tutta la nostra comprensione e la nostra stabilità emotiva.
L’emozione prevalente in un periodo di crisi come questo è la paura, come abbiamo già detto nell’articolo ‘Paura: la risposta naturale al pericolo‘.
Paura ed angoscia sono pessime consigliere e talvolta ci portano a reazioni involontarie, quasi sempre irrazionali e inefficaci per gestire e risolvere le situazioni contingenti.
Le persone impaurite reagiscono tipicamente così:
“Tutto ciò a cui ti opponi permane e si amplifica, tutto ciò che ti permetti di far emergere si manifesta e si dissolve”.
Il nostro obiettivo non è quello di essere senza emozioni o di controllarle per soffocarle e sopprimerne la manifestazione, ma quello di permetterci di sentirle, di osservarle, di riconoscerle e dare loro un nome.
In questo modo oggettiviamo l’emozione e riusciamo a ridimensionarla e integrarla.
Come trasformare, allora, i momenti di disagio emotivo, anche quelli che stiamo vivendo in questi giorni, in occasioni di consapevolezza, crescita interiore e maggior serenità?
Premessa fondamentale è accogliere con amorevolezza noi stessi, i nostri cari, il nostro smarrimento, le reazioni emotive intense, comportamenti esagerati compresi.
L’accoglienza di noi e di ciò che c’è di noi, anche nella risposta emotiva, apre ad un processo di auto-osservazione importante, una possibilità di ‘educarci’ a riconoscere le nostre modalità di reazione e a comprenderne le dinamiche.
Quello che ci sfugge spesso è il tempo dell’ascolto di ciò che suscita in noi un’esperienza; un tempo dal quale possono sorgere informazioni utili di noi, dei nostri meccanismi di reazione, come abbiamo visto, ma anche di chi siamo, di come ci muoviamo nel mondo e con quali abiti.
In questo tempo dilatato, potremmo provare a fermarci di fronte ad un fatto attivante e non scappare subito alla ricerca di un colpevole esterno e di soluzioni immediate. Possiamo fare un piccolo passo indietro e, con l’intenzione di scoprire tutto ciò che può esserci utile dell’esperienza stessa, farci delle semplici domande:
Entriamo nell’osservazione del fatto, diamo un nome alla situazione che sta accadendo. Si tratta di una descrizione il più possibile oggettiva della situazione nuda e cruda, così come si presente:
Entrando un pochino più dentro di noi, permettiamoci di sentire il nostro stato d’animo conseguente e riconosciamo l’emozione prevalente: rabbia, tristezza, paura, frustrazione, impotenza… Nel riconoscerla la lasciamo essere, senza giudizio e apriamo alla sua trasformazione che si traduce subito in un cambio di percezione della sua intensità.
Ciò che spesso è alla base delle nostre reazioni emotive più forti è la paura; lo sforzo maggiore è proprio quello di riconoscere quale conseguenza temiamo si manifesti dalla situazione che ha provocato l’attivazione emotiva.
Possiamo temere una conseguenza pratica: in questo caso, quindi, nella relazione di ‘causa ed effetto’ se ‘non ho fatto la spesa – temo che manchi in casa qualcosa di necessario’.
Possiamo diversamente temere una conseguenza interiore: in questa seconda ipotesi l’emozione ha origini più profonde e deriva da un’interpretazione personale del fatto, filtrato da una percezione interiore del valore di sè.
In tal caso il fatto ‘non ho fatto la spesa’ poggia sul ‘temo che il mio compagno/a pensi, dica che non tengo abbastanza alla famiglia, che non sono un genitore premuroso…e, quindi, mi giudichi, rifiuti, umili…
E’ frequente che timore pratico e interiore vadano assieme: l’aspetto pratico è il ‘gancio’ che ci permette di scovare un’intima percezione negativa di noi di cui non ci rendiamo conto.
Quale pensiero di noi ha scatenato la reazione emotiva? E da dove ha origine? E perchè ci credo così tanto da esserne spesso condizionata?
Non vi è un solo pensiero condizionante, ma tante ‘etichette‘, ovvero giudizi raccolti nel tempo dall’ambiente familiare, dalla scuola, nella società e a cui continuiamo a credere senza nemmeno rendercene conto.
Sono filtri attraverso i quali percepiamo i fatti in maniera costantemente alterata e reagiamo secondo un punto di vista personalissimo, convinti di essere oggettivi.
Non sono reali e derivano da errate percezioni di noi che si sono formate probabilmente quando eravamo molto piccoli e ancora molto dipendenti dal riconoscimento e dal sostentamento esterno.
In conseguenza a ciò capita che si sia portati ad interpretare i fatti della vita attraverso una lente percettiva molto condizionata. In realtà l’esperienza presente è un’opportunità meravigliosa di rivedere tutto con occhi e strumenti diversi, quindi, di ridimensionare tutto lo scenario e togliere l’etichetta di giudizio.
Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato come di illusione continua, quasi fluido, malleabile; mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, secondo la realtà che m’avevano data; cioé vedevano in me ciascuno un Moscarda che non ero io non essendo io propriamente nessuno per me: tanti Moscarda quanti essi erano.
(Luigi Pirandello)
Nel video seguente Alberto Mantovani prosegue l’approfondimento iniziato nell’articolo ‘Paura: la risposta naturale al pericolo‘ puntando l’attenzione sull’opportunità di crescita che ogni crisi rappresenta per l’Uomo.
Concludiamo indicandovi un video ispirante che ci è stato suggerito da Alberto Mantovani e Stefania Muraro, co-direttori didattici di Accademia dell’Essere e del Centro Studi del Benessere Evolutivo Integrale:
Buona visione